Corpi estranei – una nota di lettura di Stefania Bortoli

Corpi estranei di Antonella Sica
(Arcipelago itaca 2025)

Quando l’assenza e la mancanza diventano un vuoto incolmabile, la realtà psichica ci lascia attoniti e isolati in ciascuna età della vita. La poesia di apertura che Antonella Sica ha dedicato alla madre prematuramente scomparsa, è un atto d’amore sospeso che si spegne nell’oscurità dell’abbandono:

“Madre di Luna pietra madre ragnatela
di capelli sul guanciale madre pallido […]
che sei andata via
come si spegne la luce
nella stanza di un bambino”.

La figura della madre si inabissa in un’assenza che non promette altre forme d’incontro attraverso la memoria. Mai più nominata, all’interno delle quattro sezioni che strutturano la silloge, forse cercata nei luoghi senza luce, smascherando le realtà aspre della vita e la caducità delle cose.

“Era una casa divisa in gabbie
perimetri di fiato e dolore
corpi estranei cuciti dal sangue”.

Legami di sangue radicati in un dolore indicibile deposto nella rinuncia: “in comune coi morti avevamo la resa”. Tempo del lutto, della solitudine, e dell’incomunicabilità di una famiglia spezzata. Il dolore che si tace prolunga l’angoscia in un tempo indefinito, separa, rende estranei. Le prime due sezioni del libro (Corpi estranei e Ho una bambina sulla schiena) tracciano l’oggettività di un trauma che rimane in attesa di essere nominato. La parola poetica lavora sui dettagli, con precisione chirurgica, dettagli e immagini del vuoto affettivo all’interno della casa abitata da una solitudine estrema.
Ma “il volto perduto di una bambina”, orfana d’amore, cerca la propria voce, si dispone a percepire il suo corpo – poesia mentre osserva e guarda un’altra realtà. Intensa è la sensibilità del suo sguardo che sente e inventa. Scrivere con gli occhi diventa un modo di esplorare un percorso visivo intimo e relazionale con sé stessa, l’assenza e la mancanza che ci costituisce. Noi siamo anche tutto ciò che sentiamo e la parola nasce dall’esperienza del corpo.

Quella bambina, che ritorna nel tempo presente, cerca la propria voce nel buio della notte:

“la bambina di notte dondola
cigola come un’altalena
col suo alito di bosco sussurra
cristalli di sale sul cuscino

mentre sogno indossa le mie mani
disegna una volpe che gioca coi cani
fuscelli i fremiti del suo respiro
un nido di parole che scopro al mattino.”

L’immagine della volpe, animale simbolico che vede nel buio, e che possiede la capacità di osservazione acuta nel buio della coscienza, è presente anche nella terza sezione, La condanna alla luce.

Scrive, infatti, l’autrice nella chiusa di Scaverò una fossa alla luce
“tagliate le corde al fondale del cielo
avrò occhi di volpe
nascosti fra le ortiche”.

Una prospettiva dello sguardo e della percezione dell’ascolto sonoro e visivo che non teme i luoghi della profondità dell’inconscio, non ha paura di portare alla luce le ferite che vengono nominate e conosciute anche attraverso l’essere guardati dalle cose estranee e oggettive che fanno parte della vita.
Guardare, essere guardati. Particolare, in questo movimento, è la chiusa di Sul mattino ai margini:

“i gabbiani spolpano il sonno
richiamano agli occhi l’odio
di chi sopravvive.”
Versi che fanno parte della quarta sezione Dove nessuno chiama.

In questa oscillazione tra esterno ed interno (e dei luoghi e delle domande che nascono in noi mentre leggiamo i suoi versi densi e affilati come lame che squarciano la visione), la scrittura poetica di Antonella Sica diviene un atto creativo di tenace vitalità che guarda alle cose; alla forza narrativa delle immagini-sequenze ritmiche, tra le parole distillate con cura e attenzione. La sua esperienza di regista e filmmaker ritorna attraverso le sequenze evocative della sua ricerca poetica che predilige le figure retoriche dell’antitesi e dell’ossimoro. Con il suo sguardo di poeta traduce e trasforma le contaminazioni quotidiane, i quadri interni dei luoghi, senza paura di nominare la fragilità umana, le ambivalenze, la memoria del corpo. Anche per dire che L’abisso non ci divide. L’abisso circonda. (Wislawa Szymborska).
Corpi estranei è un canto d’amore doloroso, autentico, dissonante, che svela alcune verità dell’esistenza dentro l’autobiografismo e nell’altrove, fuori e dentro di noi.

Stefania Bortoli
settembre 2025

Corpi estranei: un cammino che continua

Negli ultimi mesi Corpi estranei ha continuato il suo cammino in concorsi e festival ottenendo premice riconoscimenti

È stato:

finalista al concorso Europa in versi, promosso dalla Casa della Poesia di Como

insignito di una menzione speciale al Premio Sygla – Città di Chiaramonte Gulfi, in Sicilia

premiato con il premio della critica al concorso ilglomerulodisale, con premiazione a Modica (RG)

vincitore del Primo Premio assoluto al Premio Nazionale di Poesia L’arte in versi, nelle Marche (Jesi)

insignito di una menzione speciale al Premio Letterario Internazionale “Lago Gerundo”

Segnalo questi traguardi per chi segue il mio lavoro e per conservare una traccia del percorso finora compiuto.

Corpi estranei. Una panoramica di recensioni su riviste letterarie e lit-blog

 

Annachiara AtzeiPoetarum Silva (5 maro 2025): Atzei sottolinea come “corpi estranei sono anche quelli di persone costrette a una convivenza forzata […] a significare la difficoltà – e talvolta l’impossibilità – di ascolto e di comprensione reciproca tra esseri umani”. Nella sua nota, evidenzia il dramma familiare al centro del libro – la perdita della madre e il dolore isolante dei sopravvissuti – notando che “il dire poetico si fa atto di resistenza” di fronte aquesto silenzio. La raccolta viene descritta come un percorso di risalita dal trauma: “Quella bimba dall’aria sperduta diventa una donna e, un passo alla volta, torna nel mondo… oltre la gabbia di casa c’è l’alba”. Atzei conclude che la parola poetica di Sica, pur nata dal dolore, trova conforto e apertura verso l’esterno.

Daniela PericoneLaboratori Poesia (24 marzo 2025): Pericone, nella sua recensione, evidenzia la ricerca dell’identità attraverso l’altro: “Si scrive nel tentativo di conoscere il mondo in cui si vive, a partire dalla relazione dell’io con l’altro da sé. Noi come corpo accanto ad altri corpi. È questo l’oggetto dell’esplorazione che Antonella Sica compie nel libro Corpi estranei”. La critica nota come la poetessa metta in scena una famiglia ferita dall’assenza, in cui “un corpo non più vivo si contrappone ai corpi vivi e presenti, e tuttavia estranei” attorno. In questo quadro di estraneità quotidiana, la parola poetica di Sica cerca di ricucire la frattura fra sé e il mondo, “a partire dal quotidiano e da ciò che più si crede affine e familiare” (come già osservato anche da Camilla Ziglia in prefazione).

Antonio CoronaIl Tasto Giallo (15 febbraio 2025): Corona definisce Corpi estranei “un libro decisamente intenso e coraggioso fin dalla prima pagina, che lascia trasparire le fragilità umane e la complessità dei rapporti interpersonali, [e] la volontà di cogliere il bello in ogni luogo e momento dell’esistenza, seppur crudele”. Nel dettaglio della sua nota di lettura, egli osserva come la raccolta sia articolata in quattro sezioni che segnano un passaggio dall’interno familiare claustrofobico a un’apertura verso l’esterno. Le prime due sezioni esplorano l’infanzia dell’io poetico “popolata da personaggi ingabbiati nella loro identità”, dal padre annegato nel cibo alla nonna appesantita dalla vecchiaia, tutti inchiodati dal lutto. Le ultime due sezioni invece vedono la poetessa “assorbire luce, note e vibrazioni di un mondo che va scoprendo”, proiettando il suo sguardo fuori dalla casa natale. Corona evidenzia la trasformazione: il testo poetico rimane “asciutto e snello, senza sbavature […] la cura della parola diviene protagonista”, segnando la resistenza e la rinascita tramite la poesia. In conclusione, secondo Corona la silloge mostra che dopo il buio del dolore “non c’è una fine, ma ancora scoperta”, poiché “nulla permane uguale e la necessità di cambiare diventa sinonimo di vita”.

Paolo PolvaniCarte Sensibili (28 marzo 2025): Nella sua approfondita nota di lettura intitolata “La bambina sulla schiena canta”, Polvani identifica il fulcro emotivo del libro nella perdita materna: “Il perno della raccolta Corpi estranei s’incardina nel dolore della perdita della madre”, evento che lascia un’assenza “in filigrana, in ogni composizione”. Egli richiama le diverse “espressioni di uno stesso dolore” incarnate dai personaggi familiari: il padre che riempie il vuoto col cibo e l’alcol, la nonna tra preghiere e gesti consueti, il fratello chiuso nel silenzio. Al centro resta “il volto perduto di una bambina” con la sua bambola rotta, simbolo dell’innocenza ferita. Polvani nota però come la raccolta abbia “una forte vocazione a resistere”: la poesia diventa atto di sopravvivenza, “sfiancare lo sguardo sulla luce” pur conoscendo l’oscurità del lutto. Attraverso immagini vivide – la “tapparella che […] s’arrotola al sole”, “la città [che] si ostina a impazzire”, “la voce della poesia [che] è ‘un arto rosso / ferito di luce’” – l’autore evidenzia lo “slancio alla creatività” presente nei versi di Sica. Alla fine del percorso poetico, sottolinea Polvani, Corpi estranei lascia il lettore in dialogo con sé stesso e con il silenzio pieno di significati prima dell’alba, in linea con quanto la prefatrice Camilla Ziglia promette: il lettore “troverà se stesso […] in un mondo non più ovvio”.

Franca AlaimoNeobar (8 aprile 2025): Nella sua nota di lettura, Alaimo analizza il sentimento di estraneità radicale che permea la silloge. Evidenzia come “la radice etimologica di ‘estraneo’ indica chiaramente il sentirsi fuori da [sé]” e quando ciò avviene perfino “fra persone conosciute” l’effetto “non può essere che devastante”. Alaimo osserva che questo spaesamento interiore è reso da Sica con versi tecnicamente raffinati e sonorità dolorose, fin dal testo iniziale dedicato alla madre scomparsa. I familiari superstiti appaiono “isolati, irraggiungibili, perfino, a volte, irritanti”, persi ciascuno nei propri gesti (il padre che “ingurgita cibo e vino”, la nonna che trascina le pantofole) nel tentativo vano di colmare il vuoto. Eppure, la poesia di Sica non indulge solo alla cupezza: “l’autrice sparge ogni tanto tracce di luce, di stupore, perfino di incanto”, riconoscendo che il versificare ha in sé qualcosa di riparativo. Anche nelle sezioni più buie affiorano momenti di meraviglia – ad esempio immagini che richiamano dipinti alla Hopper o dettagli naturalistici – in cui “prevale l’atto puro del guardare” libero da sovrastrutture. Secondo Alaimo, la “bambina sulla schiena” della terza sezione può leggersi come metafora della poesia stessa, una voce infantile che “canta” e trasfigura il dolore in gioco e filastrocca. In conclusione, pur nel suo prevalente tono dolente, Corpi estranei offre spiragli di bellezza e conferma la poesia come strumento catartico: “nessun poeta può sottrarsi” alla luce e alla musica nascosta nelle parole.

A tu per tu a cura di Nadia Scappini – bottega portosepolto

Qual è il seme da cui è germinata la tua poesia?

Ho esplorato con passione e dedizione diverse forme d’arte. Guardando la mia vita a ritroso, la creatività è sempre stata la mia ancora di salvezza. Ho iniziato con il teatro, sono passata al cinema, che è poi diventato il mio lavoro, e dodici anni fa ho cominciato a dedicarmi alla poesia.

La mia voce poetica è nata in una crepa ed è germogliata nel momento in cui ho capito quanto la poesia fosse un mezzo straordinario per guardare dentro l’abisso. Fino a quel momento avevo usato le immagini per esprimermi, ma a un certo punto ho avvertito che non bastavano, che non erano più sufficienti per dare voce a ciò che vedevo.

Così ho iniziato a scrivere. Per la verità, non pensavo di comporre poesie; per me erano solo “osservazioni casuali”. Annotavo ciò che vedevo e che mi restava dentro, come una spina che mi tormentava finché non riuscivo a estrarla, traducendola in parole.

Da sempre sono una lettrice appassionata, anche di poesia. Per rispetto ai tanti autori che ho letto non osavo definire “poesia” ciò che scrivevo. Scrivevo senza aspettative, per necessità, ma è proprio così che ho scoperto che attraverso le parole potevo, se non comprendere, almeno illuminare l’abisso.

La mia è una poesia del corpo, saldamente ancorata allo sguardo. All’inizio scrivevo quando qualcosa mi colpiva; in quel periodo ero così “spellata” che ad ogni angolo qualcosa entrava nei miei occhi e lavorava in silenzio. Fino a quando non scrivevo.
Attraverso la scrittura la ferita si è cauterizzata; è diventata altro. La scrittura poetica è uno strumento straordinario, capace di creare nuovi ‘oggetti’ mentali che si collocano in un punto di contatto unico tra la realtà e l’inconscio, tra ciò che è esterno a noi e ciò che è profondamente intimo e soggettivo. Oggi scrivo con maggiore consapevolezza: lo studio e la ricerca hanno trasformato il mio approccio, rendendolo più strutturato e riflessivo.

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Corpi estranei: nota di lettura di Franca Alaimo

Antonella Sica, Corpi estranei, Arcipelago Itaca Ed., Gennaio 2025

La radice etimologica di “estraneo” indica chiaramente il sentirsi fuori da, come uno che piombi all’ improvviso in una realtà altra in cui nessuno lo riconosca ed egli stesso non riconosca nulla come suo.
Quando questa percezione assedia anche chi vive in luoghi e fra persone conosciute, la lacerazione della propria integrità psichica non può essere che devastante.
È quanto esprime in versi densi, costruiti con grande perizia tecnica e addolorati echi sonori inseguiti fra assonanze, allitterazione, iterazioni,
Antonella Sica nella sua recentissima silloge: <Corpi estranei>.
Il testo di apertura sulla morte della madre con il suo doloroso assillo segna da subito il tono dei successivi, pervasi dalla percezione di un’ assenza relazionale con gli altri, a cominciare dai familiari ancora vivi che sembrano abitare le stanze della casa comune come “gabbie”, isolati, irraggiungibili, perfino, a volte, irritanti, come la nonna che trascina le pantofole o il padre che ingurgita cibo e vino come per “allattare” il dolore.
Tutti sembrano cercare un senso senza trovare altro che silenzi vuoti.
Una pausa si introduce a volte in così vasta, disperante mancanza, ed è la presenza delle cose solo nel momento in cui vengono separate da ogni sovrastruttura metaforica mostrandosi quali sono. Il lettore ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a dei quadri verbali, ormai fissati nella loro immobilità: si tratta in genere di interni, che fanno pensare a certi dipinti di Hopper (finestre e tende che separano dall’ ambiente esterno), o di descrizioni di cose o luoghi attente ai dettagli: “un cumulonembo orlato di luce / sul lungomare capovolto / capriole di vento, festa di lampi”, in cui prevale l’ atto puro del guardare, scisso da ogni tentazione filosofica, quando, come scrive la poeta, la gioia sta “nelle gambe” che, camminando, le fanno “gli occhi sazi / come chi non cerca niente”.
È il momento in cui parla quella bambina protagonista della terza delle cinque sezioni che strutturano la silloge, e che è facile identificare con la poesia stessa, se si colgono bene gli indizi seminati tra i versi: “il suo corpo è nuda cantilena”; “un nido di parole che scopro al mattino”; “satura l’ aria / di filastrocche in rima baciata”, anche se questa bambina nel testi che chiude la seconda sezione trascina “fra le mani una bambola rotta”, alludendo, dunque, alla stagione infantile. Come dire che la poesia appartiene all’ infanzia (non manca, del resto, nella silloge la presenza di bimbi che giocano) e che bisognerebbe ritrovare quella meraviglia ormai “rotta”.
Sebbene, insomma, l’ atmosfera che si respira all’ interno dei versi, sia perlopiù cupa, dolente, l’ autrice sparge ogni tanto tracce di luce, di stupore, perfino di incanto, perché ad essi nessun poeta può sottrarsi, se considera l’ azione del versificare un atto di per sé riparatorio, non fosse altro che per la ricerca della musica che fanno le parole combinate sapientemente insieme.

Corpi estranei: nota di lettura di Antonio Corona su Il tasto giallo

CORPI ESTRANEI è la recente silloge di Antonella Sica, edita da Arcipelago itaca Edizioni (2025), nella collana “Mari Interni” diretta da Danilo Mandolini e con prefazione a cura di Camilla Ziglia. L’opera, come dichiarato in copertina, è stata vincitrice della XII edizione del Premio InediTO – Colline di Torino. Si articola in quattro sezioni: Corpi estraneiHo una bambina sulla schienaLa condanna alla luceDove nessuno chiama, dove è possibile distinguere due parti da un punto di vista dei contenuti affrontati dall’autrice. Le prime due infatti, si focalizzano sulla sua infanzia popolata da personaggi ingabbiati nella loro identità, mentre nelle ultime la Sica traspone il suo sentire al di fuori della casa natale e assorbe luce, note e vibrazioni di un mondo che va scoprendo e con cui interagisce talvolta in una dimensione onirica e di fantasia.
Un libro decisamente intenso e coraggioso fin dalla prima pagina, che lascia trasparire le fragilità umane e la complessità dei rapporti interpersonali, la volontà di cogliere il bello in ogni luogo e momento dell’esistenza, seppur crudele.

Una casa e quattro importanti figure familiari (madre, padre, nonna e fratello) sono i protagonisti della prima sezione, se si esclude una quinta presenza: la voce narrante dell’autrice che osserva, come distaccata, il succedersi degli eventi. Cosa può generare in una famiglia la perdita di una persona cara, e ancor di più in un bambino? “madre / che sei andata via / come si spegne la luce / nella stanza di un bambino”. E’ così il focolare domestico diviene “una casa divisa in gabbie / perimetri di fiato e dolore / corpi estranei cuciti dal sangue”. I legami di sangue diventano sutura per una scomparsa improvvisa, per un dolore difficile da gestire, ma tutto resta immobile nelle parole descrittive della Sica. Ognuno mantiene il proprio posto a tavola, mentre “il corpo del padre stipava / di cibo la sacca ventrale” e una nonna con “le ciabatte sgraziate nel corridoio / strisciando lucidavano il pavimento”. Solo “il corpo del fratello / non faceva rumore” così come “lo spettro” di una bambina ammutolita e solitaria, affranta dal dolore che incide nella memoria momenti e figure, attimi di luce e buio che segneranno la propria vita e, perché no, anche la scrittura. Così le “persiane lame di luce / tagliavano la gola alla domenica” si vive imprigionati nella casa del ricordo, in mura intrise di dolore e di sconfitta. Sarà il gioco a portare in luce una bambina con la sua bambola, un istinto materno che si fa strada già in età fanciulla e ci regala l’immagine della giovane autrice che con coraggio e verità, condivide una parte importantissima della propria infanzia. La “bambina sulla schiena” dondolarespiracanta: questi i tre verbi scelti dalla poetessa per ricordare il suo intimo momento, per tramutare il dolore in poesia. Le due prime sezioni si chiudono, imprimendo certamente una potente spinta emotiva alla lettura. Strofe contenute e spesso ritmiche donano dolcezza e quasi una serena accettazione del dolore, nonostante la durezza di alcuni termini e la descrizione chirurgica degli eventi. Il testo poetico si trova così ad essere asciutto e snello, senza sbavature o smielature sentimentali, la cura della parola diviene protagonista nell’efficacia comunicativa e di espressione.

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