“OGGETTI NON TROVATI” Pietro Mari – Studio Tiepolo 38 – Roma – 11/05/18 – 08/06/18

Pietro Mari è un favoloso ossimoro. Un artista rigoroso, sobrio, con un profondo senso del sacro e al contempo bizzarro, umoristico e dissacrante.
Ho conosciuto Pietro attraverso le sue fotografie; ogni suo scatto mi trattiene sempre a lungo nel suo equilibrio estetico e nelle sue incessanti domande. Il perimetro del suo sguardo seleziona, implacabile, uno spazio che tramuta la realtà in un luogo del pensiero o dell’inconscio più profondo. Fedele al suo nome, Pietro tanto è rigoroso e compatto nelle sue opere fotografiche quanto leggero e ribelle come un sasso lanciato contro le convenzioni nelle opere di creazione esposte in questa mostra.
Non è mio compito guidare ad un senso perché con gli “oggetti non trovati” ognuno crea la sua relazione. Sono opere che nascono da un inconscio mobile e fecondo, alimentato da una cultura ricca, eclettica, capace di creare un universo di analogie. È compito di chi guarda “trovare” questi oggetti, completarne la nascita, ognuno attivando il proprio bagaglio di esperienza, cultura ed emozioni.
Percepisco, nel mondo degli “oggetti non trovati”, la forte presenza di due elementi: il maschile e il femminile, raccontati visivamente, nel loro ambivalente rapportarsi, con grande ironia, passando con disinvoltura dalle implicazioni più profonde alla contaminazione con elementi culturali pop.

Come nel gioco di parole, “pop snow white corn”, che accompagna la riproduzione di una Biancaneve disneyana da giardino, già simbolo della fiaba snaturata del suo terrore ancestrale per diventare l’icona della sottomissione femminile nella cultura borghese occidentale, che giace archiviata in una teca su di un letto di bianchi pop corn da intrattenimento-multisala; un vero e proprio cortocircuito visivo che sancisce la morte di un simbolo culturale. Io credo, però, che Biancaneve sia fuggita dalla sua gabbietta da uccellino (“Damen”), un apartheid annunciato da una targhetta da toilette, piegando le sbarre come un forzuto da fumetto e prima di andare via per sempre abbia piazzato la “trappola per nazisti”. E ancora, il maschile ipervirile dei soldatini giocattolo armati di bazooka, grossi falli di plastica, neutralizzato dal dissolvimento per troppo calore in una macchia infantile di colore; o il chiodo di “Hyperreaction” simbolo di un fallo che sembra aver perso l’obiettivo. “The nail’s revenge” è il crudo resoconto di una relazione dove due martelli incollati per la testa sono privati della loro funzione, annichiliti dall’unione come due amanti simbiotici.

Forte anche il tema del nutrimento (“vettovaglie d’emergenza”). Cocci di un vecchio servizio di piatti sono tenuti insieme da fil di ferro conservando solo le vestigia della loro funzione, rappresentazione di un concetto di famiglia oramai rotto, scompaginato, pieno di cicatrici mal rimarginate i cui valori non nutrono più. Tutto questo accade sotto lo sguardo vigile di un Gesù bambino grigio-metallizzato che con il suo piccolo metro bianco invita a misurare l’ormai incolmabile distanza dal riscatto e dal premio (“jésus christ illuministe”)


Concludo il mio piccolo excursus con l’opera che preferisco : “sei volti antibiotici”. Messo con cura dentro una teca è un blister vuoto, un oggetto che ha esaurito la sua funzione. È solo forma; un ritratto tagliente dell’incurabile narcisismo odierno nutrito da selfie seriali. Una narrazione vuota sugellata dalla parola antibiotico che rafforza il senso con la sua etimologia: “ contro la vita.”
Questi sono gli oggetti che ho trovato, la mia personale narrazione, ora tocca a voi cominciare la ricerca.

 

 

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