Poesia scelta: Sono il buio inconosciuto che sta dietro
Autrice: Antonella Sica
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Sono il buio inconosciuto che sta dietro,
calore e latte, luce di pianto.
Ho tenuto bordo ai tuoi passi
conservato i sassi
che portavi in dono.
Sarò per te memoria, mai dimora
ma soglia scalza, rovo di mora.
A cura di Emanuela Sica
È un richiamo ancestrale, eppure concretamente florido di vita, quell’incipit che, sin dal verbo “sono”, ha la capacità immediata, e senza artificiose sovrastrutture, di generare non soltanto un “ausiliare” ma soprattutto far lievitare quella “consistenza d’essenza vitale” che permea la lirica di una fulminea capacità attrattiva, richiamando “l’essere” che prende “forme di calore” e mai si annulla nel buio. Anzi, nell’assenza di luce “inconosciuta”, quindi ignorata dalla vita che si muove e prova a riemerge da quel “sono”, germoglia prima il corpo e poi l’anima di chi, partendo da un incontro di due “diversità” origina “unità”. Da quella velocissima duplicazione d’istinti primordiali e cellule si costruisce una dimensione evocativa e sino a tal punto esplorativa in grado di uscire “fuori” a guardare il mondo con nuovi e più luminosi occhi.
Riesco quasi a sentirlo quel canto, per alcuni versi sibillino eppure chiaro e senza sbavature. La voce è quella di una donna che, dalla sua centralità uterina, dal suo passato generante, “mette al mondo” o “a dimora” quel “singolare” assioma di carnalità e anima che portava in grembo, in quella culla di sangue e muscoli, prima stretti e poi tirati sino all’osso, di nutrimento gestante, di soavi aspirazioni materne, di sogni e lucciole a primavera. E da quella “generazione”, dalla coniugazione al presente di una vita in fieri ed evoluzione, si lascia andare alla crasi delle paure che si slacciano al tocco trasparente della luce e al pianto nel momento esatto in cui la donna diventa madre. Con la “nascita” non inizia il suo viaggio nell’ossigeno del mondo il “partorito” ma viene catapultata nella realtà dei suoi giorni a venire anche la “partoriente” che, in quel momento, prende il nome di “madre” nella società, pur se madre lo era anche prima… nell’attesa.