L’ira notturna di Penelope – nota di lettura di Franca Alaimo

L’innesto del mito nella poesia di Antonella Sica si raggruma in pochi, ma vitalissimi riferimenti: Penelope da una parte e la sua tela cucita e scucita quale strumento d’inganno e insieme di riscatto e di autodecisione; e dall’altra il cavallo di legno, che rimanda ad Ulisse, prototipo di astuzia e di dominio maschile.

L’ira di Penelope richiama, quindi, tanto un desiderio di libertà dalla condizione femminile tutta intessuta di stereotipi, quanto -e credo abbia un peso maggiore- (col fare tornare alla mente il verso iniziale dell’Iliade in cui si individua nell’ira funesta dell’eroe Achille la causa degli “infiniti lutti” per gli Achei) la scoperta e la volontà di rispetto dell’elemento maschile nella propria natura femminile: quella complementarietà Sole-Luna, evocata in uno dei testi della silloge.
Così la stanza, che è un altro dei nuclei concettuali di questa scrittura, se da una parte sta a significare la prigionia all’interno dello spazio domestico tra faccende e riti quotidiani, dall’altra sembra alludere a quella “stanza tutta per sé” reclamata da Virginia Woolf, spazio di autoaffermazione femminile attraverso la creatività.
In altre parole la silloge di Antonella Sica segna un itinerario di consapevolezza attraverso cinque sezioni-tappe, che indagano, dopo un momento di rottura, le relazioni fra l’autrice e gli altri, come donna, madre, figlia; e fra sé stessa e l’atto del poetare, percepito come una rielaborazione del proprio vissuto, ché inutile sarebbe raccontare ciò che non ci appartiene, attraverso una sapiente collocazione delle parole-immagini, come in un’operazione di montaggio cinematografico, all’interno di un’inesauribile dinamismo.
Ricorrenti sono anche nei versi della silloge due elementi naturali: il mare, simbolo del viaggio all’interno delle proprie acque interiori, ma anche verso un oltre sconosciuto, e il vento simbolo del sovvertimento del disordine anche fecondo, ché trasporta semi e spore in luoghi nuovi. Tra quest’ultimi c’è anche la dimensione del silenzio, come consapevolezza di una pienezza della comprensione che non ha più bisogno di una ricerca attraverso la parola, per cui il desiderio di dissolvimento a cui pure si accenna, non coincide con la distruzione del proprio sé, ma con la più ampia realizzazione coincidente con il senso più profondo e intimo dell’essere e dell’esserci.

Franca Alaimo

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