La poesia, dal greco poiesis, è creazione. Di immagini e di idee, di sensazioni ed emozioni, attraverso la parola. La poesia di Antonella Sica è fedele a questo senso originario del termine, in quanto sa creare immagini che restano potentemente impresse nella mente del lettore e lo interrogano a fondo, per molto tempo dopo la lettura.
È una poesia della visione, a tratti quasi cinematografica, per l’accuratezza della descrizione dei correlativi oggettivi che popolano di significati lo spazio narrato, vissuto dall’io lirico. Dico vissuto, perché leggendo L’ira notturna di Penelope, non si ha mai la sensazione di essere a contatto con pose e finzioni letterarie; ma si sperimenta un’empatia profonda con l’autrice. Ciò accade perché Antonella Sica possiede una scrittura che rimane nel corso della silloge sempre fedele al “manifesto di poetica”, proclamato a conclusione, quasi a suggellare un percorso, forse un patto, intessuto con il lettore sin dall’inizio: “Le mie parole sono semi custodi / dei germogli della terra di dentro / sbocciano sul corpo nudo / nella luce e nel buio del vissuto. / Per questo non posso dar voce / a un dolore che non conosco: / per pudore, per rispetto / per non trovare un giorno in mezzo al petto, / un mazzo di fiori di plastica rossi / né vivi né morti” (p. 69).
Forse proprio perché la sua cifra è l’autenticità, quella di Antonella Sica è anche una poesia dell’ossimoro. Perché la realtà è complessa e contraddittoria, ed essere donna è complesso e contraddittorio. Significa avere in sé la ciclicità della natura, propria dell’acqua, delle maree, della luna (non a caso simboli densamente presenti nel libro), la capacità di dare vita, di “dare alla luce”, e insieme il sentimento costante della morte. La tensione a rendere la contraddittorietà dell’io, della condizione femminile, della realtà tutta, è evidente sin dal titolo. Quando pensiamo all’ira omerica, pensiamo per antonomasia all’ira di Achille. Quando pensiamo a Penelope, le attribuiamo i luoghi comuni della pazienza e della fedeltà; la immaginiamo nelle sue stanze a tessere di giorno, a disfare di notte; facciamo fatica a seguirla nella sua arte della notturna distruzione, nelle trame della paura, del nascondimento, della rabbia, dello scoramento che pure deve aver provato.
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