CORPI ESTRANEI è la recente silloge di Antonella Sica, edita da Arcipelago itaca Edizioni (2025), nella collana “Mari Interni” diretta da Danilo Mandolini e con prefazione a cura di Camilla Ziglia. L’opera, come dichiarato in copertina, è stata vincitrice della XII edizione del Premio InediTO – Colline di Torino. Si articola in quattro sezioni: Corpi estranei, Ho una bambina sulla schiena, La condanna alla luce, Dove nessuno chiama, dove è possibile distinguere due parti da un punto di vista dei contenuti affrontati dall’autrice. Le prime due infatti, si focalizzano sulla sua infanzia popolata da personaggi ingabbiati nella loro identità, mentre nelle ultime la Sica traspone il suo sentire al di fuori della casa natale e assorbe luce, note e vibrazioni di un mondo che va scoprendo e con cui interagisce talvolta in una dimensione onirica e di fantasia.
Un libro decisamente intenso e coraggioso fin dalla prima pagina, che lascia trasparire le fragilità umane e la complessità dei rapporti interpersonali, la volontà di cogliere il bello in ogni luogo e momento dell’esistenza, seppur crudele.
Una casa e quattro importanti figure familiari (madre, padre, nonna e fratello) sono i protagonisti della prima sezione, se si esclude una quinta presenza: la voce narrante dell’autrice che osserva, come distaccata, il succedersi degli eventi. Cosa può generare in una famiglia la perdita di una persona cara, e ancor di più in un bambino? “madre / che sei andata via / come si spegne la luce / nella stanza di un bambino”. E’ così il focolare domestico diviene “una casa divisa in gabbie / perimetri di fiato e dolore / corpi estranei cuciti dal sangue”. I legami di sangue diventano sutura per una scomparsa improvvisa, per un dolore difficile da gestire, ma tutto resta immobile nelle parole descrittive della Sica. Ognuno mantiene il proprio posto a tavola, mentre “il corpo del padre stipava / di cibo la sacca ventrale” e una nonna con “le ciabatte sgraziate nel corridoio / strisciando lucidavano il pavimento”. Solo “il corpo del fratello / non faceva rumore” così come “lo spettro” di una bambina ammutolita e solitaria, affranta dal dolore che incide nella memoria momenti e figure, attimi di luce e buio che segneranno la propria vita e, perché no, anche la scrittura. Così le “persiane lame di luce / tagliavano la gola alla domenica” si vive imprigionati nella casa del ricordo, in mura intrise di dolore e di sconfitta. Sarà il gioco a portare in luce una bambina con la sua bambola, un istinto materno che si fa strada già in età fanciulla e ci regala l’immagine della giovane autrice che con coraggio e verità, condivide una parte importantissima della propria infanzia. La “bambina sulla schiena” dondola, respira, canta: questi i tre verbi scelti dalla poetessa per ricordare il suo intimo momento, per tramutare il dolore in poesia. Le due prime sezioni si chiudono, imprimendo certamente una potente spinta emotiva alla lettura. Strofe contenute e spesso ritmiche donano dolcezza e quasi una serena accettazione del dolore, nonostante la durezza di alcuni termini e la descrizione chirurgica degli eventi. Il testo poetico si trova così ad essere asciutto e snello, senza sbavature o smielature sentimentali, la cura della parola diviene protagonista nell’efficacia comunicativa e di espressione.
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