Corpi estranei: nota di lettura di Franca Alaimo

Antonella Sica, Corpi estranei, Arcipelago Itaca Ed., Gennaio 2025

La radice etimologica di “estraneo” indica chiaramente il sentirsi fuori da, come uno che piombi all’ improvviso in una realtà altra in cui nessuno lo riconosca ed egli stesso non riconosca nulla come suo.
Quando questa percezione assedia anche chi vive in luoghi e fra persone conosciute, la lacerazione della propria integrità psichica non può essere che devastante.
È quanto esprime in versi densi, costruiti con grande perizia tecnica e addolorati echi sonori inseguiti fra assonanze, allitterazione, iterazioni,
Antonella Sica nella sua recentissima silloge: <Corpi estranei>.
Il testo di apertura sulla morte della madre con il suo doloroso assillo segna da subito il tono dei successivi, pervasi dalla percezione di un’ assenza relazionale con gli altri, a cominciare dai familiari ancora vivi che sembrano abitare le stanze della casa comune come “gabbie”, isolati, irraggiungibili, perfino, a volte, irritanti, come la nonna che trascina le pantofole o il padre che ingurgita cibo e vino come per “allattare” il dolore.
Tutti sembrano cercare un senso senza trovare altro che silenzi vuoti.
Una pausa si introduce a volte in così vasta, disperante mancanza, ed è la presenza delle cose solo nel momento in cui vengono separate da ogni sovrastruttura metaforica mostrandosi quali sono. Il lettore ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a dei quadri verbali, ormai fissati nella loro immobilità: si tratta in genere di interni, che fanno pensare a certi dipinti di Hopper (finestre e tende che separano dall’ ambiente esterno), o di descrizioni di cose o luoghi attente ai dettagli: “un cumulonembo orlato di luce / sul lungomare capovolto / capriole di vento, festa di lampi”, in cui prevale l’ atto puro del guardare, scisso da ogni tentazione filosofica, quando, come scrive la poeta, la gioia sta “nelle gambe” che, camminando, le fanno “gli occhi sazi / come chi non cerca niente”.
È il momento in cui parla quella bambina protagonista della terza delle cinque sezioni che strutturano la silloge, e che è facile identificare con la poesia stessa, se si colgono bene gli indizi seminati tra i versi: “il suo corpo è nuda cantilena”; “un nido di parole che scopro al mattino”; “satura l’ aria / di filastrocche in rima baciata”, anche se questa bambina nel testi che chiude la seconda sezione trascina “fra le mani una bambola rotta”, alludendo, dunque, alla stagione infantile. Come dire che la poesia appartiene all’ infanzia (non manca, del resto, nella silloge la presenza di bimbi che giocano) e che bisognerebbe ritrovare quella meraviglia ormai “rotta”.
Sebbene, insomma, l’ atmosfera che si respira all’ interno dei versi, sia perlopiù cupa, dolente, l’ autrice sparge ogni tanto tracce di luce, di stupore, perfino di incanto, perché ad essi nessun poeta può sottrarsi, se considera l’ azione del versificare un atto di per sé riparatorio, non fosse altro che per la ricerca della musica che fanno le parole combinate sapientemente insieme.

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