A tu per tu a cura di Nadia Scappini – bottega portosepolto

Qual è il seme da cui è germinata la tua poesia?

Ho esplorato con passione e dedizione diverse forme d’arte. Guardando la mia vita a ritroso, la creatività è sempre stata la mia ancora di salvezza. Ho iniziato con il teatro, sono passata al cinema, che è poi diventato il mio lavoro, e dodici anni fa ho cominciato a dedicarmi alla poesia.

La mia voce poetica è nata in una crepa ed è germogliata nel momento in cui ho capito quanto la poesia fosse un mezzo straordinario per guardare dentro l’abisso. Fino a quel momento avevo usato le immagini per esprimermi, ma a un certo punto ho avvertito che non bastavano, che non erano più sufficienti per dare voce a ciò che vedevo.

Così ho iniziato a scrivere. Per la verità, non pensavo di comporre poesie; per me erano solo “osservazioni casuali”. Annotavo ciò che vedevo e che mi restava dentro, come una spina che mi tormentava finché non riuscivo a estrarla, traducendola in parole.

Da sempre sono una lettrice appassionata, anche di poesia. Per rispetto ai tanti autori che ho letto non osavo definire “poesia” ciò che scrivevo. Scrivevo senza aspettative, per necessità, ma è proprio così che ho scoperto che attraverso le parole potevo, se non comprendere, almeno illuminare l’abisso.

La mia è una poesia del corpo, saldamente ancorata allo sguardo. All’inizio scrivevo quando qualcosa mi colpiva; in quel periodo ero così “spellata” che ad ogni angolo qualcosa entrava nei miei occhi e lavorava in silenzio. Fino a quando non scrivevo.
Attraverso la scrittura la ferita si è cauterizzata; è diventata altro. La scrittura poetica è uno strumento straordinario, capace di creare nuovi ‘oggetti’ mentali che si collocano in un punto di contatto unico tra la realtà e l’inconscio, tra ciò che è esterno a noi e ciò che è profondamente intimo e soggettivo. Oggi scrivo con maggiore consapevolezza: lo studio e la ricerca hanno trasformato il mio approccio, rendendolo più strutturato e riflessivo.

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