scrivo poesie
L’ira notturna di Penelope è una trama nascosta che conduce alla scoperta; l’ira è il monologo del proprio vissuto e la certezza di non sapere molto, ma anche la prontezza della meraviglia, l’ira è un atto di fede che alimenta il fuoco della ricerca, attraversa con sguardo femmineo il mondo, con gesti ripetuti, talvolta incauti. L’osservazione dalle finestre delle case, in cui ha respirato la Penelope dei giorni nostri, in cui è cresciuta e cambiata, addirittura attraversandone le stanze come fossero le proprie viscere; nella pressante quotidianità che la rende fuori luogo e in tutti i luoghi, in cui comprendere la propria gestazione interiore femminile. È la poesia la forza per ricominciare tutto da capo, se necessario: strappare, cancellare, urlare amore, dolori, rivincite, riscatti e poi tornare al mare che riluce di quella presenza costante dove l’autrice sa di poter naufragare per riemergere sempre più forte.
Moka
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Ho incontrato Antonella Sica di recente, in occasione di un evento poetico. Non avendo mai letto niente di lei. Incuriosito ho acquistato il suo ultimo libro, L’ira notturna di Penelope, e l’ho letto d’un fiato non pensando affatto di scriverci su una recensione. Ma il testo mi ha catturato nelle sue pieghe, come una tela di ragno una mosca, nei suoi punti in croce, nelle sue scuciture notturne che preludono alle albe di nuovi giorni. Come la tela di Penelope che disegna in contrappunto il labirinto marino di Ulisse, le svolte dell’intreccio dell’Odissea, compiendo l’archetipo frastagliato del Nostos omerico come lo stampo di ogni narrazione letteraria avvenire. Non solo, ma anche dell’interpretazione di testi e messaggi, dell’ermeneutica insomma, esistenziale e filosofica: la cura dell’interpretazione, genitivo soggettivo e oggettivo.
Questa Penelope dis/fa infatti ogni notte con cura, con ira temperata, la tela che tesse nel rosario dei giorni. “Notturna” è qui da intendersi anche come ctonia, fuoco che cova sotto le ceneri, e “ira” appunto è da intendersi come “temperamento”, sia in senso psicologico che musicale. Da un lato come la misura di colei che, animata da una passione indomabile, sa tuttavia alzarsi da tavola quando ha ancora fame. Dall’altro come quell’insieme di accorgimenti tecnici che consentono di modulare i temi di una forma sonata, e di passare tra i modi, maggiore minore, in quella “fuga per canone” che è l’espressione di una vita, con le sue variazioni, pause, accordi, sviluppi e riprese, in vista di una risoluzione finale che non arriva mai.
Pensiamo dunque all’Arte della fuga di Bach come a un modello da tenere a mente, accanto a quello dell’Odissea, nel nostro viaggio attraverso questo labirinto marino, costellato di tempeste e approdi provvisori. Perché il mare qui, screziato di riflessi e lampi, è il materiale di costruzione delle architetture poetiche di cui si tratta. Delle case e delle stanze in cui si abita: case dell’essere e stanze della memoria, rifugi e prigioni di un’esistenza domestica che si apre sul cosmo periglioso e affascinante di una che vuole viaggiare leggera, consapevole che “non c’è terra mai/ ma il viaggio”. (53) Di un io poetico, insomma, che sa temperare la sete di scoperta di Ulisse dalla mente tortuosa (polytropos), con la pazienza altrettanto astuta della sua sposa che ordisce piccoli inganni quotidiani, compiendo insomma una ricognizione speculare rispetto a quella dell’eroe: cercando cioè di dare un senso alla propria vita, di riempire le proprie “stanze vuote”, scucendo e ricucendo a proprio modo quella tela di Ananke che le antenate le hanno cucito addosso come un destino; disfandola sempre di nuovo punto a punto, in una caparbia temperata insurrezione, “combattendo/ l’ira notturna di Penelope”, (2) per una composizione di luogo che è al contempo esercizio spirituale e poetico, l’apprendimento del mestiere di vivere e dell’arte di catturare l’angelo nella sillaba. In una costante equivalenza fra tela e testo, nonché fra compitazione e costruzione. Fra vivere, costruire e abitare. Del resto poesia e costruzione sono etimologicamente connesse, così come il tedesco Dichtung (poesia) e il sanscrito tichtein (tetto). Così si costruisce man mano la bugia poetica come farmaco (rimedio-veleno) per il disincanto del mondo e per il disamore che lo alimenta. Il rovescio del fuoco, il suo riflesso nell’acqua o nel vetro di una finestra che si fa specchio della tua ombra.
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Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.
mercoledì 4 maggio 2022
VOLUME XXXIV
È forte e perentoria, la poetica di Antonella Sica in questi versi tratti da L’ira notturna di Penelope. La poetessa genovese, peraltro impegnatissima anche in campo cinematografico e ideatrice e curatrice di diversi festival e rassegne artistiche e letterarie, non lascia dunque spazi inutili nel suo dire deciso e schietto, e i versi sono modulati su questo suo accorato dichiarare tensioni e dissidi, sgretolamenti e dissoluzioni, in un mondo che appare calpestato e offeso, un mondo di cui fa parte anche l’umanità con la sua carne e persino il suo spirito corrotti dal tempo e dalle ignominie che l’uomo stesso provoca e ritorce contro la natura stessa. Ma proprio in questa realtà, dove ogni cosa sembra inquinarsi e guastarsi, resiste la metafora di Penelope, che imperterrita continua a tessere la sua esistenza, nonostante ogni ferita e ogni avversità, ma dando uno sguardo di sottecchi (nella coda dell’occhio) ad un possibile futuro di riscatto.
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La poesia, dal greco poiesis, è creazione. Di immagini e di idee, di sensazioni ed emozioni, attraverso la parola. La poesia di Antonella Sica è fedele a questo senso originario del termine, in quanto sa creare immagini che restano potentemente impresse nella mente del lettore e lo interrogano a fondo, per molto tempo dopo la lettura.
È una poesia della visione, a tratti quasi cinematografica, per l’accuratezza della descrizione dei correlativi oggettivi che popolano di significati lo spazio narrato, vissuto dall’io lirico. Dico vissuto, perché leggendo L’ira notturna di Penelope, non si ha mai la sensazione di essere a contatto con pose e finzioni letterarie; ma si sperimenta un’empatia profonda con l’autrice. Ciò accade perché Antonella Sica possiede una scrittura che rimane nel corso della silloge sempre fedele al “manifesto di poetica”, proclamato a conclusione, quasi a suggellare un percorso, forse un patto, intessuto con il lettore sin dall’inizio: “Le mie parole sono semi custodi / dei germogli della terra di dentro / sbocciano sul corpo nudo / nella luce e nel buio del vissuto. / Per questo non posso dar voce / a un dolore che non conosco: / per pudore, per rispetto / per non trovare un giorno in mezzo al petto, / un mazzo di fiori di plastica rossi / né vivi né morti” (p. 69).
Forse proprio perché la sua cifra è l’autenticità, quella di Antonella Sica è anche una poesia dell’ossimoro. Perché la realtà è complessa e contraddittoria, ed essere donna è complesso e contraddittorio. Significa avere in sé la ciclicità della natura, propria dell’acqua, delle maree, della luna (non a caso simboli densamente presenti nel libro), la capacità di dare vita, di “dare alla luce”, e insieme il sentimento costante della morte. La tensione a rendere la contraddittorietà dell’io, della condizione femminile, della realtà tutta, è evidente sin dal titolo. Quando pensiamo all’ira omerica, pensiamo per antonomasia all’ira di Achille. Quando pensiamo a Penelope, le attribuiamo i luoghi comuni della pazienza e della fedeltà; la immaginiamo nelle sue stanze a tessere di giorno, a disfare di notte; facciamo fatica a seguirla nella sua arte della notturna distruzione, nelle trame della paura, del nascondimento, della rabbia, dello scoramento che pure deve aver provato.
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Indubbiamente, la figura mitologica di Penelope ha influito e influisce in modo significativo sulla creatività e sulla produzione di tanti poeti e letterati, come pure, del resto, quella di Ulisse. Il simbolo della donna paziente che attende il ritorno dello sposo, prendendosi cura della famiglia e della casa in una situazione precaria e delicata, è un modello esemplare e recupera in modo ottimale il senso della dignità femminile, della sua centralità e importanza nella vita familiare e sociale. I poeti sono attratti da questo simbolo e ne fanno in molti casi riferimento dotto e illuminato.
Così, sulla falsariga della vicenda di Penelope a tutti noi nota, la moglie paziente, scaltra e determinata che tesse la sua tela di giorno e la disfa di notte in un interminabile lavorio di mantenimento dello status quo, al fine di rimandare il più possibile la sua decisione finale, la nostra autrice Antonella Sica in L’ira notturna di Penelope, raccolta di poesie recentemente pubblicata da Prospero Editore, emula lo spirito e l’intelligenza femminile e, in definitiva, umana, nel mantenere una sorta di equilibrio, uno stato di attesa “vigile” nell’affrontare la quotidianità e impostando le proprie aspettative future.
E dunque cosa si può ulteriormente notare, leggendo i bellissimi e significativi testi di questa raccolta? Presumo, essenzialmente, l’idea di incompiutezza, soprattutto nella vita di tutti i giorni, un senso di inarrivabilità quasi asintotica: “Ogni giorno con pazienza / disfo un punto combattendo / l’ira notturna di Penelope / tremando il dubbio se qualcuno / ancora sotto respira.” Si tratta evidentemente della consapevolezza che non sarà mai raggiungibile una pienezza di vita, una soddisfazione o meglio una realizzazione completa del senso dell’esistenza, e la nostra autrice lo esprime con grande valore poetico, ma anche filosofico, quando fa trapelare questo sentimento di precarietà, di disagio spirituale che investe anche l’ambito fisico e psicologico. Una continua tensione alla luminosità e alla pienezza di una vita che dia senso al tutto! Ed è perciò che il lavorio continuo, nottetempo, della trama vitale comporta una misura di rabbia, che è ira quasi repressa, addomesticata e gestita quasi a voler dare maggiore impeto e forza, energia rinnovante, a proseguire.
Come sempre, quando la poesia è davvero alta, come lo è senz’altro quella di Antonella Sica, è lo spessore della parola la caratteristica essenziale, capace di esprimere l’idea di fondo dell’autore, riuscendo con i suoi versi a dire molto di più del narrato, grazie agli echi, ai rimandi, alle allusioni, ai simboli che ampliano i confini poetici ad orizzonti altri, concentrici, proprio come le onde circolari in uno specchio d’acqua generate dal lancio di un sasso…
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Il 6 aprile 2022 alle ore 18.00 nello splendido cortile del Sivori Bistrot presenterò la mia ultima raccolta di poesie L’ira notturna di Penelope (Prospero Editore, 2022) che ha vinto prima della pubblicazione il Premio come Miglior Silloge al XX° Premio di Scrittura Femminile “Il Paese delle donne”. Animeranno l’incontro la scrittrice Antonella Grandicelli e la poetessa Donatella Bisutti, che ha curato la prefazione del volume. Proprio Bisutti, notando come la frequente ambientazione in “interni” rimandi a Emily Dickinson per una ricerca raffigurata nella “stanza” così cara a Jane Austen, scrive: «I versi di Antonella Sica si rivelano […] essere soprattutto un’esplorazione in chiave anche mitica e simbolica del Femminile», e conclude: «Accettazione e silenzio sembrano il punto di arrivo di questa scrittura di esplorazione esistenziale, punto di arrivo insieme della vita e del linguaggio».
Ingresso libero fino a esaurimento posti. Aperitivo a 7 euro.