TEATRO “L’ombra – per Medea e tutte le altre” Venerdì 29 giugno 2018 ore 21:00 – Palazzo Ducale – Sala del Munizioniere – Genova

OFFICINA BIANCHINI

L’ombra – per Medea e tutte le altre

da un’idea di
Emi Audifredi
regia e elaborazione drammaturgica
Cecilia del Sordo

con
Antonella de Gaetano
Gabriella Picciau
Marina Savoia

fotografie di
Giampiero Crozza

Riflessioni sul progetto L’OMBRA
“La madre buona e la madre cattiva nascono dalla stessa pianta, rami di un albero sotto cui sedersi a cullare il proprio bambino; un albero di cui respirare la frescura o in cui impigliarsi i capelli.”
Noi ci occupiamo di teatro. E il teatro per noi è essenzialmente questo: un mezzo per dare voce, per aprire squarci nella tela e guardare oltre, lavorare contro il luogo comune, lo stereotipo, lo stigma. Il teatro noi lo rifondiamo ogni volta: rituale catartico collettivo arcaicamente indispensabile all’umano.
La maternità, dicono le donne, può essere gioia, pienezza, stato di grazia. Ma anche fatica, ansia, dolore. E solitudine. Ci è richiesto di essere acqua e roccia, madre e padre. Ci è richiesto di essere belle, brave, efficienti. Ci viene lasciato credere che sarà facile, che l’istinto materno ci guiderà. Ma non è tutto qui. E talvolta l’ombra prende il sopravvento.
Sull’argomento della maternità e sulla sua parte profondamente oscura c’è molto da esplorare, molto da dire. C’è da scendere nei sottoscala bui delle motivazioni, frugare negli scatoloni impolverati delle responsabilità, riflettere su come tutto ciò possa arrivare a declinarsi in tante forme anche incruente di figlicidio.
E’ necessario soffermarsi sul significato di ruoli, bisogni, immaginario negato e identità negate.
Con la performance L’Ombra noi vogliamo dare voce a tutto questo, forti della convinzione che la maternità debba essere spogliata da tutti i luoghi comuni che la mascherano e la soffocano. La maternità è una scelta privata e un fatto essenzialmente intimo, ma al contempo qualcosa che la società tutta deve proteggere e di cui deve farsi carico.
(Emi Audifredi)

Sinossi
Un palco nudo. Tre donne incinte. Tre figure femminili chiamate a confrontarsi con le tante sfaccettature che le abitano.
Tre anime impegnate ad affiancarsi, stimolarsi, provocarsi, sostenersi, proteggersi, interrogarsi, insinuare dubbi l’una nell’altra, dialogare in un divenire emotivo e ritmico.
Le tre donne si inoltrano in un percorso lastricato di voci e di false certezze, di vissuti, di inquietudini e di contraddizioni creando squarci nell’ordito dei luoghi comuni e dei falsi miti che proliferano intorno alla maternità a discapito delle donne, chiamate a vivere il loro quotidiano di madri troppo spesso in totale solitudine.
Se, come dicono le donne che ascoltiamo, l’ombra esiste in ciascuno di noi, è solo riconoscendola che possiamo renderla innocua e contenerla entro i suoi confini. Il rischio di cadere nell’abisso dell’ombra si concretizza ogni qual volta una donna è troppo debole per far fronte alle aspettative di una società altamente condizionante; troppo assediata dalle difficoltà materiali e da antiche ferite interiori per affrontare la trasfigurazione della propria maternità; troppo sola a misurarsi con il falso mito dell’istinto materno e con l’implodere delle dinamiche relazionali con il proprio compagno.
Vogliamo riflettere e interrogarci sulle radici della relazione totalizzante col proprio “frutto d’amore” che è necessario riconoscere come altro da sé attraversando le necessità, le pressioni, le frustrazioni della vita reale. Ciò determinerà il successo o la negazione della relazione diadica primaria e più antica, quella fra la madre e il figlio.

Il linguaggio scenico
Partendo dal testo la parola si distilla in azione, le azioni evocate si traducono in catene di reazioni e relazioni fisiche, l’emotività è lo spunto per la messa in forma, organicamente organizzata, degli impulsi che materializzano la vita suggestiva e concreta della scena.
La narrazione procede con carattere di necessità e rigore attraverso gli svincoli, i nodi e gli snodi tematici e associativi che da essi derivano, dando vita a una partitura scenica teatrale fatta dalle armonie e dalle dissonanze che azioni, reazioni, disegno dei percorsi spaziali, vocalità, ritmi, colori, oggetti e silenzi sviluppano forgiando un filo di corrente tensiva potente e in continua metamorfosi…
Cerchiamo e ricerchiamo la via che rende la materia pulsante consapevole detonatore emotivo, rivelatore, in una dimensione teatrale poetica e cruda, emozionante.
(Cecilia Del Sordo)

Autori e testi di riferimento
Corrado Alvaro
Jean Anouilh
Emi Audifredi
Annalena Benini
Renée Bartkowski
Paul Celan
Cristina Comencini
Erri De Luca
Sergio Endrigo
Euripide
Ermanno Gallo
Emanuela Geraci
Franz Grillparzer
Erica Jong
Frédérick Leboyer
Pablo Neruda
Pindaro
Sylvia Plath
Ugo Riccarelli
Seneca
Antonella Sica
Edoardo Sanguineti
Rosella Simone
Rabindranath Tagore
Isabelle Tillmant
Christa Wolf
Virginia Woolf
Canzoni e filastrocche della tradizione popolare
La Sacra Bibbia
Proverbi e detti popolari
Suppliche e Preghiere Popolari contro ogni Male
Le voci delle donne partecipanti al seminario
“Madri: intorno a Medea e tutte le altre” (16/5/2015)

“OGGETTI NON TROVATI” Pietro Mari – Studio Tiepolo 38 – Roma – 11/05/18 – 08/06/18

Pietro Mari è un favoloso ossimoro. Un artista rigoroso, sobrio, con un profondo senso del sacro e al contempo bizzarro, umoristico e dissacrante.
Ho conosciuto Pietro attraverso le sue fotografie; ogni suo scatto mi trattiene sempre a lungo nel suo equilibrio estetico e nelle sue incessanti domande. Il perimetro del suo sguardo seleziona, implacabile, uno spazio che tramuta la realtà in un luogo del pensiero o dell’inconscio più profondo. Fedele al suo nome, Pietro tanto è rigoroso e compatto nelle sue opere fotografiche quanto leggero e ribelle come un sasso lanciato contro le convenzioni nelle opere di creazione esposte in questa mostra.
Non è mio compito guidare ad un senso perché con gli “oggetti non trovati” ognuno crea la sua relazione. Sono opere che nascono da un inconscio mobile e fecondo, alimentato da una cultura ricca, eclettica, capace di creare un universo di analogie. È compito di chi guarda “trovare” questi oggetti, completarne la nascita, ognuno attivando il proprio bagaglio di esperienza, cultura ed emozioni.
Percepisco, nel mondo degli “oggetti non trovati”, la forte presenza di due elementi: il maschile e il femminile, raccontati visivamente, nel loro ambivalente rapportarsi, con grande ironia, passando con disinvoltura dalle implicazioni più profonde alla contaminazione con elementi culturali pop.

Come nel gioco di parole, “pop snow white corn”, che accompagna la riproduzione di una Biancaneve disneyana da giardino, già simbolo della fiaba snaturata del suo terrore ancestrale per diventare l’icona della sottomissione femminile nella cultura borghese occidentale, che giace archiviata in una teca su di un letto di bianchi pop corn da intrattenimento-multisala; un vero e proprio cortocircuito visivo che sancisce la morte di un simbolo culturale. Io credo, però, che Biancaneve sia fuggita dalla sua gabbietta da uccellino (“Damen”), un apartheid annunciato da una targhetta da toilette, piegando le sbarre come un forzuto da fumetto e prima di andare via per sempre abbia piazzato la “trappola per nazisti”. E ancora, il maschile ipervirile dei soldatini giocattolo armati di bazooka, grossi falli di plastica, neutralizzato dal dissolvimento per troppo calore in una macchia infantile di colore; o il chiodo di “Hyperreaction” simbolo di un fallo che sembra aver perso l’obiettivo. “The nail’s revenge” è il crudo resoconto di una relazione dove due martelli incollati per la testa sono privati della loro funzione, annichiliti dall’unione come due amanti simbiotici.

Forte anche il tema del nutrimento (“vettovaglie d’emergenza”). Cocci di un vecchio servizio di piatti sono tenuti insieme da fil di ferro conservando solo le vestigia della loro funzione, rappresentazione di un concetto di famiglia oramai rotto, scompaginato, pieno di cicatrici mal rimarginate i cui valori non nutrono più. Tutto questo accade sotto lo sguardo vigile di un Gesù bambino grigio-metallizzato che con il suo piccolo metro bianco invita a misurare l’ormai incolmabile distanza dal riscatto e dal premio (“jésus christ illuministe”)


Concludo il mio piccolo excursus con l’opera che preferisco : “sei volti antibiotici”. Messo con cura dentro una teca è un blister vuoto, un oggetto che ha esaurito la sua funzione. È solo forma; un ritratto tagliente dell’incurabile narcisismo odierno nutrito da selfie seriali. Una narrazione vuota sugellata dalla parola antibiotico che rafforza il senso con la sua etimologia: “ contro la vita.”
Questi sono gli oggetti che ho trovato, la mia personale narrazione, ora tocca a voi cominciare la ricerca.